E allora sto a casa, suono, canto, parlo, anzi chatto, chi l’avrebbe mai detto. Ma come, non lo sapevi? Eddai, che era predetto. E non da quel magnate che ci ha rubato tutto il seminato, ma da uno scienziato che ci aveva indovinato.
E non per sbaglio ma per calcolo statistico, dentro matematica, zoologia e computo mistico. E qui casca l’asino, ma ci casca addosso, perchè sto casino che abbiamo fatto ci viene ampresso ampresso.
E io qui che ragiono, sulla questione, su cosa questa volta mi serva da lezione. E ancora non capisco, persa nello stupido refrain autistico, di amore e condivisione, nel piatto non vedo che ossessione.
Un pezzo di me, un esserino strano che non riesco proprio a rendere umano. Non posso stare senza, perdo la pazienza, la lucidità di amare e di accogliere chi non sente, come sempre, chi ascolta solo la sua mente. Eh ma non sono io, specchio delle mie brame? Con te mi sfogo e poi guardo il mio reame, parlo di te e vedo il mio letame.
E’ un virus.
Contaminazione. Forza della natura in azione. Senza comunità non c’è più religione, e non la globale ma quella locale, chiusa e isolata, tesa e spaventata. Pronta a scoppiare, in lacrime e canti, in ansia e depressione.
L’innovazione, la tecnica, i social e la condivisione. Dentro, un mondo apparentemente legato, da un virus “contaminato”; e pensare che sta parola piaceva ai buonisti, prudeva ai fascisti, ammaliava i comunisti.
Che pena mi fa, di pensare che anche in questa situazione, non sono sola, non mi prendo per mano, cerco un altro, cerco lontano. E sto sul balcone, rifletto in meditazione ma ancora penetrano pensieri in affanno, ragionamenti, quelli di tutto l’anno. Le solite storie, le solite illusioni, brusche tensioni, litigi inutili, sprechi di parole, critiche senza speranze, perdo pure la capacità di chiudermi nelle mie stanze.
Invece sono qui, sono io, e mai qui e ora ma sempre altrove in ogni dimora. Che sia fuori o dentro, niente conta, solo il patimento di non essere sorda al sentire, di non potermi semplicemente abbracciare, in questa grazia, quest’opportunità pazza, per vivere dentro, per contemplarsi e coccolarsi al contempo.
Come si fa? Chi ci ha teso la trappola dell’individualità? Chi ci ha fatto scordare com’è bello stare insieme a sognare? Chi ci ha detto che no, tutto è cinico e abietto, non esiste nella modernità una tradizione di rispetto.
Chi ci ha imposto l’isolamento, del mio e del tuo, e il muro di contenimento? Chi ci ha tratto in inganno, pensando al guadagno, poi al consumo e allo sperpero e ancora al digiuno da ogni accorporamento, pensando solo al tormento di sopportare le altre vite, patite, perché gregaria è la mente, e non ci importa niente.
E i me ne frego, i cazzi tuoi, poi sta sorta di perbenismo per cui siamo tutti uguali e ognuno nei panni suoi.
Il distacco del politically correct, la ragione e la statistica, i dati e la genetica, la specializzazione, tutto in parti e niente nell’unione.
E ancora qui mi interrogo, nel rogo della sospensione, dove tutto brucia dentro e fuori; come in spiaggia, una strana distensione. E ancora qui mi chiedo, la ragione, il motivo, per cui siamo presi, intrappolati in questo nido, pieno di pulci, e di piume, appesi, senza leggerezza, senza alcuna visione. Cos’è che devo fare visto che non posso andare? Dove devo puntare? Io sono freccia, a cosa devo mirare? Chi mi può aiutare?
E qui casca l’asina. Non c’è più nessuno. Siamo tutti morti, e non per contaminazione. Ormai spenti, non abbiamo più la fede nello stare, nel radicamento, tutti presi dallo stordimento. E questo silenzio ci affanna, ci appanna, la mente chiede una manna. Dal cielo, solo canti, uccelli e vicini, nessuno sa cosa siano, non sa che son divini.
Chi ci porterà via ad uno a uno? Chi ci troverà per darci una mano? Chi ci vorrà più amare, se non da lontano? Chi potrà capire come farci rialzare?
Illuminami, o mente! Invece lei dice: non capisci niente! Non è me che devi far parlare: senti vibrare? Piazza le mani sulle corde, pizzica con le dita, e mettiti a cantare.
Canta del cuore e delle viscere, canta dello stare insieme e del crescere. Canta del bel tempo, di oggi e a venire. Canta dell’amore e del morire. Canta per te e canta per tutti. Canta per capire cosa è meglio in avvenire. Canta per sorridere, per godere, per puro piacere, per muovere il corpo, per azionare la pancia, canta per il tuo orto. Canta che si possa fare, che un domani potrai coltivare, potrai vivere insieme, alla gente che ti vuol bene. Potrai tenerli stretti, lavorare e pregare, pregare, pregare, in comunione, perché tutto vada bene, perché possiamo comunicare, perché possiamo essere liberi di unirci, senza scannarci, senza divisione.
Canta perché possiamo giocare, come i cuccioli, aggredirci, litigare e poi leccarci l’un l’altro le ferite. Canta perché solo così possiamo crescere, solo così possiamo imparare a volerci bene. Canta per noi, canta per quello che vuoi, quel progetto immenso da costruire, canta per ripartire con anime sane; canta che si può fare, che ce la fai se ci vuoi bene. Prima a te e poi a tutti, assieme.
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